Un clown intento a mangiare una pizza
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Il grande circo dell’enogastronomia: ipocrisie, trucchi, illusioni e malintesi

Nel dorato mondo dell’enogastronomia, tra brindisi gaudenti e stelle che brillano sui grembiuli immacolati degli chef, si consuma ogni giorno un teatrino che sa tanto di farsa al limite del grottesco. Un vero e proprio circo, popolato da guide autorevoli, premi altisonanti, influencer glamour e giornalisti armati di forchetta più che di penna. Ma se guardiamo dietro le quinte, emerge una realtà ben diversa, fatta di compromessi, marketing sfacciato e, diciamolo pure, una dose non indifferente di ipocrisia.

Ipocrisia, sì, perché è facile leggere sui social, ora questo, ora quel ristoratore, che denuncia pubblicamente la marchetta sventata, tentata dal foodblogger di turno alle prese con un cellulare e la pronta richiesta di un pranzo pagato in cambio di visibilità.

E che dire di quelli che prima accettano di essere compiacenti con chi promette visibilità in cambio di un pasto gratis, poi si pentono e gridano allo scandalo? Diciamocelo, chi si comporta così fa più danni di un povero cristo che elemosina un pasto. Ed è così che scoppia il “tutti contro tutti” senza ritegno, ma soprattutto, senza che nessuno abbia ancora capito quali siano i ruoli in questo mondo: cosa è permesso, cosa non è permesso, quali sono i confini della decenza e, soprattutto, quando tacere.

Voglio fare subito una premessa però: questo articolo non vuole puntare il dito contro qualcuno in particolare, anche perché siamo arrivati a un punto in cui nessuno si può dire completamente estraneo a certe dinamiche. Il mio intento è solo quello di disvelare un mondo in cui tutti si sentono madonne immacolate o santi martiri, quando nella realtà non lo sono affatto.

Partiamo dalle guide enogastronomiche

Due le grandi categorie: quelle che si limitano a segnalare i ristoranti (Identità Golose, Oraviaggiando, Reporter Gourmet) e quelle che si avventurano nel pericoloso terreno delle classifiche (Michelin, Gambero Rosso, L’Espresso, ecc.). Queste ultime provano a rappresentare il territorio italiano in modo omogeneo, equo, scientifico, ma questa è una chimera. Le guide non sono altro che il riflesso di un sistema dove, per quanto si cerchi di far bene, sponsor, interessi economici e costi elevati, contribuiscono a dettare le regole del gioco. Certo, qualcuno si difenderà proclamando la propria integrità, ma la libertà totale è un lusso che in pochi, pochissimi, possono permettersi. Anche la trasmissione Report di Rai3 si era occupata dell’argomento, facendo emergere contraddizioni e brutture che ogni tanto vale la pena riguardare (anche perché le cose sostanzialmente non sono cambiate). La puntata è possibile vederla cliccando qui https://www.raiplay.it/video/2017/03/Report-1b57bf50-86e9-43e1-a8bd-714a31efdbd1.html .

Poi ci sono gli uffici stampa

i grandi burattinai di questa giostra. Il loro compito è chiaro: assicurare ai loro clienti una visibilità che sfocia spesso nell’onnipresenza. Comunicano, spingono, insistono. Tutto regolare e tutto ammesso, almeno fin quando non ci si accorge che nella squadra dell’agenzia di turno, ci sono gli stessi giornalisti che poi scriveranno (bene) dei propri clienti.

Ma veniamo ai giornalisti (molto spesso solo presunti tali)

cronisti che, in teoria, dovrebbero narrare le vicende di questo mondo con obiettività e rigore, ma che si ritrovano spesso a parlare sempre degli stessi luoghi blasonati. Del resto, a quale capo redattore o a quale direttore di testata interessa ricevere un articolo di una sconosciuta trattoria di cui non parla mai nessuno? E qui il problema diventa quasi esistenziale: come essere imparziali in un contesto in cui tutto è legato alle mode, alla visibilità, al chiacchiericcio e al denaro? Vogliamo davvero ignorare il fatto che gran parte degli articoli presenti online nasconde l’intento di ottenere qualche click in più per guadagnare sulla pubblicità o deriva da accordi espliciti per la pubblicazione di contenuti sponsorizzati? Ma davvero pensate che un giornalista possa prendere la propria auto, pagare un pranzo, produrre l’articolo e aspettarsi che il direttore della testata gli rimborsi tutto? Vorreste che il tutto funzionasse in questo modo? Scordatevelo, non ci sono i margini economici per fare questo. Il paradosso è che nemmeno la Michelin può permettersi di far girare più di 9/10 ispettori in tutta Italia, figurarsi una testata giornalistica con molte meno entrate finanziarie.

E i foodblogger?

Eh, nemmeno i foodblogger sono immuni da critiche. Anzi, sono spesso visti come mercenari del web, pronti a vendere un elogio per un pugno di follower o una cena di lusso. Queste figure ormai dominano la scena con una spavalderia che oscilla tra il geniale e il demenziale. Un post, una cena pagata, e il gioco è fatto. Impagabile e divertente, poi, vedere alcuni discutibili foodblogger dare dei marchettari agli altri. À la guerre comme à la guerre!

E che dire degli Awards?

50 Top Italy, The Best Chef Awards, Italy Food Awards, 50 Top Pizza, The World’s 50 Best Restaurants, ecc.. Molti hanno espresso preoccupazioni riguardo alla mancanza di garanzie sulle visite dei giudici. Molti sostengono che non ci siano sufficienti controlli per verificare se i membri delle varie giurie abbiano effettivamente visitato i ristoranti prima di esprimere il loro voto oppure si sono rifatti a giudizi di altri colleghi. Anche per queste organizzazioni, pertanto, i criteri utilizzati per valutare i ristoranti sono stati definiti da alcuni “arbitrari” e “poco credibili”.

Tutti contro tutti

E così tutti contro tutti: i ristoratori indignati perché qualcuno ha osato chiedere un pranzo gratuito; gli chef che inseguono stelle, cappelli e forchette e si piegano al compromesso di utilizzare certi prodotti; i giornalisti che guardano con sospetto gli influencer; e questi ultimi, a loro volta, che si difendono dagli attacchi di chi li accusa di essere semplici marchettari.

La verità, come ho scritto prima, è che nessuno è senza peccato. E chi si lamenta, di solito, è chi non è riuscito a giocare la partita con abbastanza astuzia o fortuna, oppure è qualcuno che è riuscito a ricevere visibilità proprio attraverso questi meccanismi e ora punta il dito contro i colleghi che stanno percorrendo la stessa strada. Insomma, un grande entropico disordine dove, lo ribadisco, nessuno può dirsi completamente innocente. In un sistema in cui ogni attore è coinvolto in una rete di compromessi, chi può davvero vantare una purezza assoluta? Ogni figura, dal ristoratore all’influencer, dal giornalista al critico, recita il proprio ruolo all’interno di un teatro collettivo in cui tutti cercano di ottenere qualcosa, che si tratti di visibilità, credibilità, autorevolezza o semplicemente denaro. Nessuno è estraneo a questo intreccio di interessi, ed è proprio questa consapevolezza che dovrebbe spingere tutti a un’assunzione di responsabilità condivisa, piuttosto che alla ricerca del colpevole perfetto.

Adesso che ho descritto il disordine, cercherò di fare ordine esprimendo un parere personalissimo di cui mi prendo ogni responsabilità:

  1. Le guide e le organizzazioni che stilano classifiche, hanno l’assoluto dovere di dimostrare trasparenza e lealtà. A questi non è data alcuna scusante per compromessi o giochi di potere che mettano in discussione la loro credibilità. Devono operare con un rigore etico impeccabile, perché il loro giudizio influisce non solo sul destino di chi lavora nel settore, ma anche sulle aspettative e la fiducia dei consumatori;
  2. Ai ristoratori, chef e pizzazioli dico non scandalizzatevi. I giornalisti invitateli a pranzo o a cena: con quei 20 o 30 euro ad articolo (quando va bene) che prendono dalle varie testate, non possono permettersi di pagare il conto. No, non verranno a mangiare da voi per la vostra bella faccia o perché vi sentite dei fenomeni. No, gli editori non spenderanno soldi per parlare di voi senza un vero ritorno. Vi prego, non fate confusione: i giornalisti gastronomici non sono ispettori Michelin o giudici in stile Masterchef. Sono cronisti. E, se sono seri, dovrebbero ogni tanto anche raccontare delle stronzate che arrivano al tavolo spesso descritti dagli chef come capolavori.
  3. Gli uffici stampa vanno pagati. A loro non basta la cena aggratis. Fate solo attenzione a lavorare con agenzie serie, ne va del vostro buon nome.
  4. Gli influencer e i creator digitali vanno pagati. Se in cambio vi chiedono solo una cena, accendete un cero e dite grazie al vostro santo protettore preferito. Senza di loro non arrivate al grande pubblico. Se hanno un seguito significa che hanno il potere di portarvi gente. Se chiedono una cena a scrocco e poi sui social si vantano di aver pagato, meglio tenerli lontani. Sono delle brutte persone.

Vi state indignando? Fate pure, ma questa è la realtà. La visibilità ha un costo. La verità, è scomoda ma è pur sempre la verità.

Termino dicendo che c’è una cosa che reputo divertente: alla fine, gli unici che avrebbero diritto a indignarsi davvero dovrebbero essere i clienti, ovvero i consumatori finali protagonisti di questa catena. Ma loro, paradossalmente, sembrano divertirsi più di tutti. Perché alla fine è tutto un gioco di apparenze e finché il piatto è buono, poco importa chi abbia tirato i fili dietro le quinte.

Almeno loro, con i popcorn in mano, si godono lo spettacolo di questo circo fatto di clown, maghi, saltimbanchi ma soprattutto bugiardi.

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