Falsi Esperti in Cucina: Il Rischio di Svalutare la Cultura Gastronomica

In un mondo gastronomico già profondamente segnato da sfide, trasformazioni e incertezze, ci troviamo ad affrontare una nuova, preoccupante emergenza: quella dei falsi professionisti. Falsi gastronomi, falsi giornalisti, falsi critici gastronomici, falsi addetti stampa, falsi pizzaioli… la lista sembra non finire mai. E la domanda sorge spontanea: in un settore che si fonda sulla passione, sulla competenza e sulla tradizione, abbiamo davvero bisogno di questi “impostori”?

Il fenomeno dei falsi esperti non è certo una novità, ma negli ultimi anni sta assumendo proporzioni preoccupanti, amplificato dalla crescita esponenziale dei social media e dalla “democratizzazione” della comunicazione. Chiunque, oggi, può definirsi un esperto, un critico o un giornalista gastronomico, senza alcun titolo, competenza o esperienza concreta nel settore. Basta un profilo Instagram ben curato, una cucina “instagrammabile” o una recensione entusiasta per guadagnarsi un’etichetta che, nella realtà, non ha alcun fondamento.

Questa tendenza ha conseguenze devastanti, non solo per la credibilità del settore, ma anche per il pubblico che, spesso ignaro, si affida a questi “falsi profeti” per scegliere dove mangiare o quali prodotti acquistare. La qualità dell’informazione gastronomica si degrada, mentre la confusione aumenta. Si finisce per premiare chi sa vendersi meglio, piuttosto che chi davvero sa di cosa sta parlando.

I veri professionisti del settore, che hanno studiato, lavorato sul campo e accumulato anni di esperienza, rischiano di essere oscurati da queste figure superficiali che, purtroppo, contribuiscono a svilire l’autenticità e la ricchezza della cultura gastronomica. Un cuoco che ha dedicato la propria vita alla cucina, un critico che ha imparato a valutare con rigore e passione, o un giornalista che scrive con consapevolezza, sono figure che meritano rispetto e attenzione, non solo per la loro esperienza, ma anche per il valore che aggiungono alla discussione gastronomica.

La domanda, quindi, non è solo se ne abbiamo bisogno, ma anche come possiamo arginare questa deriva. La risposta potrebbe trovarsi nella promozione della formazione, nella valorizzazione dell’autenticità e nel rafforzamento della professionalità. Bisogna educare il pubblico a riconoscere la differenza tra chi ha davvero qualcosa da dire e chi, invece, semplicemente approfitta della popolarità di un’etichetta. È un impegno che riguarda tutti: ristoratori, critici, giornalisti e, soprattutto, il pubblico, che ha il dovere di fare scelte consapevoli.

In un settore che vive di passione e di vera competenza, non possiamo permetterci di lasciare spazio ai falsi professionisti. Il rischio è che la bellezza e la sostanza della nostra tradizione gastronomica vengano annacquate dalla superficialità di chi, purtroppo, non ha nulla di autentico da offrire.

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Un commento

  1. Bene.
    È da troppo tempo diventato un esercizio profano “concesso” dalla diffusione facilitata. Scrivere non servirebbe quasi più, così come reso evidente dai nuovi rampanti “creator s” di video spazzatura a valanga.

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