La critica gastronomica è morta. E quando provi a rianimarla, ti trattano come un criminale.

Negli ultimi anni ho avuto l’onore “ e il piacere “ di raccontare la gastronomia pugliese con passione, onestà e soprattutto responsabilità. Ho mangiato, osservato, ascoltato. E ho sempre cercato di farlo senza peli sulla lingua ma con rispetto, perché penso che la vera critica non sia mai un attacco, ma un gesto d’amore verso un mestiere straordinario, difficile, fatto di sacrifici, ma anche di scelte

Eppure ogni volta che provo a esprimere un pensiero non allineato, un dubbio, una nota fuori dal coro, parte l’assalto. Non si risponde nel merito, non si riflette, si reagisce. Di pancia. Con livore. Come se avessi commesso un sacrilegio. Come se una critica a un piatto, a un impasto, a un abbinamento fosse equivalente a un insulto personale. Come se, per dirla brutalmente, avessi “scopato la moglie”.

Mi è successo recentemente. Ho espresso un’opinione tecnica e sincera “ su un prodotto che rispetto, ma che secondo me aveva margini di miglioramento “ e da lì si è scatenato il delirio. Commenti velenosi, allusioni, attacchi velati. E il peggio? Il silenzio codardo di chi ti loda in privato ma non ha il coraggio di dirlo pubblicamente, per paura di bruciarsi rapporti, eventi, inviti, visibilità.

E allora mi domando, ha ancora senso parlare di critica gastronomica se dobbiamo muoverci come equilibristi tra amicizie, PR, convenienze e fragilità? Se l’unico modo per essere accettati è scrivere markette, fare applausi a comando, e lodare tutto e tutti anche quando non lo meriterebbero?

Io non ci sto. Non ci sono mai stato.

Per me la critica è dialogo. È cultura. È crescita. E chi davvero ama il proprio mestiere “ che sia cuoco, pizzaiolo, pasticcere “ dovrebbe saper accogliere anche un parere scomodo. Perché è proprio da lì che si riparte. È da lì che si alza il livello. Non dal finto entusiasmo.

Se vogliamo davvero far crescere la ristorazione, dobbiamo accettare che la critica faccia parte del gioco. Che ci sia chi guarda, assaggia, analizza. E che lo faccia senza secondi fini, se non quello di contribuire a un racconto più vero, più utile, più autentico.

Continuerò a dire la mia, con rispetto, ma senza paura. Perché l’unico modo per onorare davvero questo mestiere è avere il coraggio di raccontarlo per quello che è. Non solo quando ci piace, ma anche quando può “ e deve “ migliorare.

Articoli simili

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *