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Da Pompetti la pizza diventa arte contemporanea

In un tempo in cui la pizza rischia di diventare solo un format replicabile, da Impastatori Pompetti ho riscoperto il potere dell’arte bianca come mezzo espressivo. 

La sua è una pizza che ha il coraggio di dialogare con la cucina d’autore, senza mai dimenticare la sua natura popolare. Un equilibrio raro, tenuto insieme da un’intelligenza culinaria lucida e da un istinto creativo che non conosce compromessi. Il suo passato nelle cucine di Uliassi si percepisce non solo nella tecnica, ma soprattutto nella visione, quella capacità rara di portarti altrove con sapori che non ti aspetti, ma che sembrano appartenerti da sempre.

Ho avuto modo di vivere un percorso degustazione che mi ha profondamente colpito per rigore, audacia e identità. Si inizia con Consistenze di Margherita, una pizza fritta a fermentazione di pomodoro, con stracciatella, polvere di pomodoro e pesto di basilico disidratato, un inno alla classicità reinterpretata attraverso texture e contrasti. A seguire, Margherita del Fornaio, padellino a lievito madre con tripla cottura e salsa ai tre pomodori, che dimostra il controllo assoluto di Pompetti sulla lievitazione, sulla cottura e sulla stratificazione gustativa.

Poi arriva la svolta, Un Mare d’Inverno, con gambero freddissimo, pesca sciroppata e burro alle ostriche. Una composizione che sovverte i canoni, proponendo un’esperienza sensoriale marina e struggente, più vicina a un antipasto da fine dining che a una pizza. Ma è con il Megamare che si tocca l’apice della ricerca, pizza fritta a fermentazione di pomodoro, polvere di testa di scampo, granita di riccio, maionese al plancton, polvere di osso di seppia. Un piatto che racconta il mare in ogni sua forma, evocando paesaggi, memorie e profondità gustative inaspettate.

A seguire, Isla de Lobos, dove lattuga alla brace, maionese vegana al plancton e crema d’aglio e mandorla tracciano una linea vegetale raffinata, e Scarpetta della Domenica, con crema di patate, caramello di pollo e patata soffiata, che rievoca la tradizione familiare in una chiave quasi poetica.

Pompetti si diverte anche a spiazzare con Colazione a Letto, un finto pain au chocolat con barrette di arrosticino di fegato e un mocaccino realizzato con miso, aglio nero, latte di soia e cacao. Un tributo alla contaminazione culturale e alla provocazione gastronomica, che dimostra quanto la sua visione si spinga oltre i limiti del consueto.

In chiusura, Pizzamisù, una pizza dolce a base di caffè e orzo tostato, namelaka allo zabaione, caramello e cacao. Un dessert preciso, elegante, in grado di chiudere il cerchio di un viaggio complesso e sorprendente.

Il menu che ho provato è un vero viaggio sensoriale, un mix tra cucina d’autore e arte bianca. Francesco Pompetti ha una visione che va ben oltre la semplice pizza, gioca con le texture, le temperature e gli ingredienti come farebbe un grande chef di cucina sperimentale.

È stato un viaggio fuori dalle rotte convenzionali, dove il mare d’inverno può incontrare un plancton in polvere, e la colazione può raccontare una storia d’Abruzzo fatta di fegato e cacao. In quel locale di Roseto non ho solo mangiato, ho ascoltato, ho riflettuto, mi sono emozionato. Ed è in quelle emozioni che ho trovato la conferma che la pizza, quando passa dalle mani di chi la vive con rispetto e coraggio, può essere una forma d’arte.

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