| 

UNE : Dove l’Umbria dimenticata incontra la memoria e la visione di Giulio Gigli

C’è un’Umbria nascosta, fatta di orti silenziosi, mulini abbandonati e ricette che si sussurrano nei ricordi dei nonni. Ed è proprio lì, tra le pieghe di una terra che sembra immobile, che Giulio Gigli ha deciso di piantare il seme del suo progetto più personale: UNE.

Ho pranzato da UNE pochi giorni fa, a Capodacqua, nel cuore dell’Umbria. Una frazione che sembra sospesa nel tempo, come il mulino che ospita questo ristorante, trasformato da Gigli in un luogo di alta cucina e profonda verità. Ma chiamarlo semplicemente “ristorante” è riduttivo. UNE è un atto culturale, una dichiarazione d’intenti, un gesto d’amore verso una terra troppo spesso dimenticata e verso un’idea di cucina che non rincorre la moda, ma dialoga con la memoria.

Giulio Gigli ha iniziato a cucinare da ragazzino, aiutando la madre Roberta in cucina, perché ce n’era bisogno. Quella necessità si è fatta conforto, poi passione. Dopo l’alberghiero ha attraversato alcune delle cucine più importanti del mondo: Il Pagliaccio di Anthony Genovese, il 1947 al Le Cheval Blanc di Yannick Alléno, Benu a San Francisco, fino a diventare responsabile della creatività di Disfrutar, a Barcellona. Ma invece di restare dove tutto sembrava perfetto, ha scelto di tornare in Umbria. E questo dice già molto.

La cucina di UNE è fatta di contrasti, consistenze, temperature, fermentazioni, conserve e stagioni. È un viaggio sensoriale che parte dalla terra “ quella vera, che coltivano loro stessi nell’orto accanto al ristorante “ e arriva fino a tavola, passando per tecniche raffinate e una sensibilità rara. I vegetali sono protagonisti, le proteine animali misurate e identitarie: il piccione del signor Franco, che ho avuto il piacere di conoscere, racconta da solo l’intensità di questo progetto.

Ma ciò che mi ha colpito più di tutto è la coerenza del disegno. UNE si muove su tre direttrici chiare: sostenibilità “ attraverso il riutilizzo creativo degli scarti e il lavoro quotidiano con l’orto; stagionalità “ ogni piatto nasce dal dialogo con il tempo e con ciò che la terra offre; e relazioni “ con i produttori, con il gruppo cucina, con i clienti “. Ogni elemento ha un volto, una storia, un legame.

Non c’è nulla di costruito qui. Solo verità. E una profonda consapevolezza che essere chef, oggi, significa molto più che cucinare bene: significa scegliere, narrare, valorizzare, contaminare con intelligenza.

Giulio racconta l’Umbria attraverso i suoi occhi e il suo percorso. E se vi capiterà di sedervi a uno dei pochi tavoli di UNE, non aspettatevi semplicemente un pranzo: aspettatevi un racconto, una carezza, un atto di fiducia.

Articoli simili

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *