La Mano: l’esperienza sensoriale di Francesco Calò
Roma, quartiere Flaminio. Varco la soglia di Avenida Calò, l’enopizzeria aperta da Francesco Calò dopo anni di successi a Vienna, e qualcosa mi dice che non sarà un semplice pranzo. È l’inizio di un viaggio. Di quelli che si compiono con le mani “ letteralmente “ e con i sensi all’erta, pronti a cogliere ogni sfumatura. Si chiama “La Mano – Pizza Experience”, un percorso degustazione in sei portate che Calò definisce «un viaggio alla scoperta del gusto autentico attraverso i cinque sensi». Ha ragione.

Originario di Oria, in Puglia, Francesco Calò ha mosso i primi passi nel mondo della panificazione all’interno dell’attività di famiglia. Dopo un’esperienza imprenditoriale in Italia, non priva di ostacoli, nel 2013 si trasferisce a Vienna, dove nel 2016 apre Via Toledo Enopizzeria. In breve tempo il locale diventa uno dei riferimenti europei per la pizza napoletana contemporanea, tanto da conquistare il secondo posto nella classifica “50 Top Pizza Europa”. Ma il richiamo dell’Italia non lo abbandona mai. Così, nel dicembre 2024, realizza il sogno di tornare con un progetto personale nella sua terra adottiva, Roma, aprendo Avenida Calò: un locale in cui unisce impasti d’autore, visione gastronomica e un tocco inconfondibile di identità.
Radici. Passione. Avanguardia.
Sono queste le tre coordinate su cui si articola l’esperienza, e si avverte in ogni passaggio che non si tratta solo di una sequenza di tranci gourmet, ma del racconto di una vita, di una visione.
Mi viene servito il primo trancio: filetto di datterino, origano di montagna, aglio, basilico, olio EVO. La semplicità apparente nasconde una cura maniacale nella selezione degli ingredienti, la ricerca di un equilibrio che emoziona. Le mani “ mie e sue “ si incontrano idealmente nel gesto ancestrale del mangiare senza posate, dove il tatto e il profumo anticipano l’assaggio.

Poi arriva il secondo: fiordilatte, provola, salsiccia fresca, crema di friarielli in tre consistenze. Una sinfonia vegetale e carnivora, in cui ogni ingrediente parla una lingua diversa ma armonica. E ancora: il trancio “doppia cottura” con pomodoro “Paglione”, spuma di bufala, pecorino romano e basilico croccante. Qui la tecnica affiora, ma senza mai prendere il sopravvento sul gusto.


Il quarto trancio è un inno alla leggerezza e alla memoria: fiordilatte, crema di zucchine, zucchine alla scapece, ricotta, provolone e menta. Un gioco di consistenze, acidità e freschezza che rievoca estati mediterranee.

Ma è il quinto piatto che mi colpisce dritto al cuore: fiordilatte, capicollo di fichi cilentani ai pistacchi, confettura di fichi, conciato romano La Campestre, emulsione di basilico e perlage di rum. Un morso e sembra di attraversare intere stagioni, un territorio, un’identità pizzaiola che non ha paura di osare.

L’intensità del racconto umano
Ma La Mano non è solo un’esperienza gastronomica. È un racconto. Quello di Francesco, che mi parla delle sue origini pugliesi, del panificio di famiglia, dell’esilio volontario a Vienna e del sogno realizzato a Roma. Mi racconta dei progetti futuri, e non esclude “ con un sorriso che sa di malinconia e determinazione “ un ritorno in Puglia. E intanto la sala si muove con la regia silenziosa ma precisa di Chiara, sua moglie e sommelier, che ha curato un abbinamento vini semplicemente impeccabile. I calici accompagnano le portate senza mai sovrastarle, anzi: le completano.

La Mano è un atto di coraggio e di autenticità. È un invito a fidarsi, a lasciarsi condurre, a sporcarci le dita per sentire fino in fondo il senso della pizza, del gesto, del gusto. È la mano tesa di Francesco Calò: basta afferrarla per accorgersi che è molto più di un pranzo. È un ricordo destinato a restare.





